DIETRO LE SBARRE
Ognuno ha diritto di raccontare la propria storia.
2020

Quando la fotografia va oltre le mura carcerarie.

All’inizio è stato difficile accettare questa realtà, fatta di perquisizioni, chiavistelli, mura di cinta e cancelli blindati, ma ho affrontato questa esperienza con la giusta dose di curiosità e anche un po’ di timore.

All’interno della “Casa di Reclusione – Pasquale De Santis” di Porto Azzurro, Isola d’Elba, si nasconde un microcosmo composto da “storie di uomini”.

C’è chi potrebbe definire quelli dietro le sbarre “I cattivi” con le loro storie che raccontano di criminalità (spaccio, associazione a delinquere, rapine e omicidi, per dirne alcuni) e quelli al di là della barricata “i buoni”, ovvero coloro che ogni giorno prestano il loro servizio per fare in modo che la vita carceraria funzioni (guardie, operatori sociali, ma anche psicologi, insegnanti e volontari).

In realtà, nell’esprimere un giudizio su chi sia effettivamente buono o cattivo, si dovrebbe sempre partire dall’idea di umanità, limiti, paure, fragilità e talenti compresi. 

E questa, è stata proprio una delle verità alle quali sono approdato alla fine del mio “soggiorno”.

Innanzitutto partirei dal racconto di quello che si vede “da fuori”.

L’intero carcere è inserito in una struttura coloniale spagnola risalente al XVI-XVII° secolo caratterizzata da spesse mura di cinta, alte vari metri, che si prolungano così tanto verso il cielo che solo nelle prime ore che precedono e susseguono il mezzogiorno si può dire di essere irradiati dal calore del sole.

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L’attività che sono stato chiamato a svolgere all’interno della struttura è consistita nell’insegnamento delle basi della fotografia, al fine di creare un progetto i cui protagonisti fossero le stesse persone alle quali stavo insegnando, utilizzando le immagini come mezzo di espressione della propria quotidianità da “detenuto”, ma anche del proprio desiderio di libertà e cercando di raccontare qualcosa che fosse in grado di andare ore le spesse mura della realtà carceraria.
In particolare, gli scatti dei partecipanti al progetto, includono un ritratto di quest’ultimi con tre foto a seguire: un momento di serenità, uno scatto della loro vita quotidiana ed uno con un oggetto che più li rappresenta

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La vita all’interno del carcere è complicata, e, al di là di qualsiasi giudizio sulla correttezza delle azioni che sono state commesse dalle persone che si trovano ivi recluse e sulla meritevolezza e giustizia della pena, è indubbio che la privazione della libertà personale sia un’esperienza segnante. In positivo o in negativo.
Il tempo lo si trascorre svolgendo le mansioni quotidiane essenziali per la vita carceraria, ovvero le pulizie, cucinare e mantenere tutto in ordine e spesso, al termine di queste attività, ci si dedica alla lettura, allo studio e all’approfondimento della propria spiritualità.

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Uno degli scopi principali della detenzione carceraria, e in generale della pena, così come solennemente previsto all’art. 27 della nostra Costituzione, dovrebbe infatti essere proprio quello della “rieducazione” e della “risocializzazione” del detenuto.

Progetti come quello che ho avuto la fortuna di attuare e del quale le fotografie qui esposte sono il frutto, tendono proprio a questo: fornire un’alternativa e una chance di riscatto per chi, troppo spesso, si convince di non averne.

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Nel mio piccolo mi sento fortunato ad aver vissuto questa esperienza che mi ha fatto capire quanto, per certe persone con più o meno spiccate attitudini e inserite in contesti sociali molto difficili, sia facile sbagliare e di come ci si possa rimettere in gioco, sempre.

Sopra le vette del mondo